Definizione di Randonnée
Randonnée, divertirsi in bici con una diversa filosofia. In francese, randonnée significa passeggiata/escursione: si tratta quindi di prove senza classifica su distanze lunghissime, ma alla portata di tutti o “quasi”. In alcune viene cronometrato il tempo, ma solo per dare una gratificazione al ciclista che vuole sapere il tempo impiegato su un determinato percorso, ma non esiste mai un vincitore. Il regolamento prevede che il ciclista deve viaggiare in completa autonomia. Il percorso non è segnalato, ad ogni partecipante viene consegnato un “road book” (un libro che indica nel dettaglio la strada da seguire). Esistono naturalmente punti di controllo e il mancato passaggio da un punto di controllo esclude il ciclista dalla manifestazione. Il tempo massimo di percorrenza è importante, anche per permettere il corretto svolgimento della manifestazione, ma non è la cosa “più importante”. Non si parte tutti assieme, ma si è liberi di prendere il via in un intervallo di tempo stabilito. La bicicletta può essere di qualsiasi tipo. La filosofia delle randonnée vede prevalere la componente turistica, mentre la componente agonistica è legata strettamente ad una sfida contro sé stessi per concludere il tracciato entro il tempo limite, l’unico avversario è il cronometro.
Se questo fosse vero alcune randonnèe dovrebbero essere modificate o cancellate. Qui nelle mie zone (Veneto) di randonnèe vera ne conosco solo una, il solstizio d’inverno senza alcun ristoro ne bagdrop.
Se poi andiamo a leggere la prima riga “divertirsi in bici con una diversa filosofia” allora noi italiani non ne azzecchiamo nemmeno una, popolo di corridori che va in bicicletta per arrivare prima, prima di tutti, per fermare l’orologio dove nessuno possa migliorare il proprio tempo. Dalle GF arrivano in massa corridori con la frenesia della vittoria, liberi di agire fuori da ogni regolamentazione UCI sapendo di non incontrare mai alcun controllo e pronti a firmare con il primo tempo di giornata il taccuino della memorabile corsa di turno. Possibile che non si riesca ad organizzare qualcosa che segua la definizione randonnèe, una nicchia creata a doc solo per chi ama pedalare senza nessuno che voglia “vincere”? Quest’anno ho organizzato pure io due randonnèe e anch’io ho inserito ristori e bagdrop e questo solo per far sì che le prenotazioni arrivassero copiose, grande errore che sicuramente il prossimo anno non andrò più a fare riportando le corse allo stato naturale del nome “randonnèe” sicuramente questo a discapito delle iscrizioni.
1001 e non più 1001
Un grande entusiasmo avevo alla partenza martedì sera prima di essere assiepato sulla pista di atletica del centro sportivo di Nerviano aspettando quasi due ore in mezzo a nubi di zanzare, non serviva aderire al test con il prelievo del sangue per sapere come funzionavano le nostre vie renali, già gli insetti mi avevano fatto un abbondante prelievo, certo avrei voluto vedere le zanzare che avevano succhiato da coloro avessero fatto uso di sostanze strane a che velocità avrebbero potuto arrivare in volo. Nel tempo che sono stato fermo ad aspettare guardavo attorno a me controllando le biciclette dei miei 386 compagni di sventura, cappero, partiamo per una milleseicento chilometri ed eravamo solo il dieci percento di ciclisti attrezzati con borse belle cariche come le mie, qualcosa non torna, credo proprio aver sbagliato corsa, il vedere biciclette senza alcuna borsetta nemmeno quella sotto sella, una borraccia per l’acqua e una per mettere uno smanicato o poco altro, ruote ad alto profilo con pochissimi raggi praticamente le stesse biciclette che si usano in una GF mi faceva strano.
Ore 21,10 a scaglioni di trenta ciclisti si parte, cade l'asticella di partenza, ma cosa mi ha preso? Io predicatore incallito dell’andar piano alla partenza mi sono fatto prendere la mano, anzi la gamba, dal mio gruppo che viaggiava a velocità ben sopra le mie possibilità. Stavano bene le gambe sebbene dovessero spingere una bicicletta di diciotto chili e giravano alla stragrande, duecento chilometri trentuno di media effettiva compreso pause e controlli, caspita che mostro che sono diventato, pensiero da principiante, quello che dai non ti ritorna più e da lì a poco la stanchezza e il sonno iniziarono a scendere, alle ore 5,00 del mercoledì ho dovuto mollare la compagnia fermandomi per andare a sdraiarmi in un androne di un negozio dove per mezzora sono riuscito a chiudere gli occhi. Risveglio tragico, rimessomi in sella ho iniziato ad insultarmi per l’errore commesso nelle ore precedenti. Il sole iniziava a sorgere le gambe iniziarono a stare bene e la pedalata era diventata costante, un altro passaggio al controllo prima che il sole iniziasse veramente a bruciare. Prima di mezzogiorno sono riuscito ad accodarmi ad un altro gruppetto e con loro ho pedalato per le lunghissime strade della pianura padana in mezzo ad un traffico pesante con temperature che sfioravano i 40° fino a Lugo. Arrivo al controllo alle 15,40 scendo dalla bicicletta e sento che sto per cadere, la nausea e il girare la testa mi hanno obbligato a sdraiarmi, la sensazione era la stessa del mio primo over 1000 quando sono stato costretto a ritirarmi per disidratazione. Avevo sette ore di anticipo prima della chiusura del controllo ho mangiato qualcosa, bevuto molto, fatto una doccia e poi sdraiato per una fermata di tre ore. Lo stato di malessere era al massimo l’idea di prendere il treno lì a Lugo si faceva forte soprattutto quando, dopo essere ripartito, sono passato sopra ai binari della vicina stazione. Vabbè dai proviamo andare avanti se sto male si ritorna a Lugo per il treno. Mi aspettava il passo del Sambuco, quasi mille metri di quota in mezzo al nulla e nel pedalare in maniera lenta, molto lenta in mezzo le colline romagnole vengo sorpassato da tre compagni di viaggio di cui due di questi dopo qualche chilometro, merito della forma fisica migliore della mia se ne sono andati mentre il terzo era messo quasi alle mie stesse condizioni. Era partito pure lui carico di peso il buon Giancarlo di Merano e sapendo che non potevamo affrontare il passo nelle ore notturne causa sfinimento abbiamo deciso di abdicare momentaneamente per assaporare il piacere di qualche ora di sonno in un buon materasso dopo una calda doccia. Dopo aver dormito senza aver cenato siamo partiti per affrontare il passo verso le quattro del mattino e il rimettersi in sella è stato per entrambi traumatico, Giancarlo stava meglio di me che ancora soffrivo di forte nausea e cedimento muscolare, non capivo dove avevo sbagliato dando la colpa solo alla corsa folle del giorno precedente. Devo analizzare la situazione mi dissi, avevo mangiato nel corso del giorno prima, avevo pure bevuto molta acqua, sali solo due buste. Mi sembrava tutto regolare ma perché questi muscoli non vanno e lo stomaco non mi lascia bere? Ero a metà salita e con una pendenza del 6% salivo a malapena ai cinque chilometri orari, Giancarlo era più avanti di me, pedalava a tratti per avere la possibilità di fermarsi a fare qualche foto e nonostante ciò non riuscivo mai a raggiungerlo. Ultima change, proviamo buttare giù una busta di sali in poca acqua, se va bene si continua altrimenti si torna. Dopo pochi minuti sento lo stomaco alleggerirsi e a questo punto sulla borraccia piena misi altre due buste di sali che assieme ad un piccolo e vecchio panino con prosciutto “ricotto” dal sole ingurgitai in pochi istanti. La svolta, sentivo un netto miglioramento e d’accordo con Giancarlo abbiamo iniziato a fare pause frequenti per approvvigionarci di acqua che andava bevuta in quantità esagerata visto i caldi e le lunghe salite che stavamo affrontando, ma anche per mangiare qualcosa (parecchio) visto che arrivando ai vari controlli sempre fuori tempo massimo non trovavamo più nessuno. Questo è stato il problema primario nel proseguo della nostra corsa perché per bere e darsi una rinfrescata diurna siamo sempre stati costretti alla ricerca di bar mentre per mangiare qualcosa di sostanzioso e per lavarci decentemente dovevamo andare in hotel allungando notevolmente i tempi di ritardo giornalieri. L’assunzione di forti dosi saline, il mangiare di continuo e di bere molto mi hanno risolto gran parte dei cali fisici e disturbi intestinali ma a metà corsa avevamo tredici ore di ritardo, ancora la matematica non ci lasciava fuori dal tempo massimo. Giovedì si arriva vicino a Chiusi poi venerdì Todi e Il lago di Bolsena e sabato 20 agosto abbiamo pedalato sotto il sole cocente della Toscana con il termometro che segnava 43°sulle strade dell’Eroica per poi entrare in Siena e poi in mezzo al traffico intenso di turisti che salivano in auto e camper per arrivare a San Geminiano. Domenica 21 le ruote di entrambi giravano veloci e lo scarto della perdita diminuiva sempre costantemente, stavamo meglio dei giorni precedenti e tutto ci dava sempre più sicurezza sulla riuscita di rientrare entro il tempo limite. Nei giorni trascorsi a mezzogiorno un piatto di pasta c’era sempre e alla sera si mangiava a tavola e si dormiva su un letto, una intesa perfetta quella fra Giancarlo e me, siamo due randonneurs veri non due barboni e la bicicletta la vogliamo godere. Doloranti dappertutto al punto di non sapere più come tenere il manubrio e stare seduti in sella abbiamo avuto entrambi la consapevolezza che se fossimo riusciti arrivare al traguardo entro il tempo il merito era dovuto esclusivamente alla capacità di interagire e di aiutarci nei momenti di sconforto. Alla domenica sera eravamo consci che dopo aver mangiato dovevamo partire subito saltando la pausa dedicata al sonno e questo qualche problema poteva recarci, Giancarlo con le prime luci dell’alba ha avuto un cedimento improvviso causato dal sonno e la scelta di fermarsi in un bar per fare colazione e farci un pit-stop sonno l’ho condivisa con grande piacere perché sicuramente li a poco avrei avuto gli stessi problemi, mezzora, ma era quella che ci serviva per ripartire sereni. Avevamo calcolato tutto, percorso, tempo e meteo tutto era favorevole per arrivare anche in anticipo ma non avevamo fatto i conti con la sfortuna, Giancarlo nei giorni passati aveva già avuto problemi meccanici con due forature e lo sfasciamento di una copertura ed io con una foratura ed il cambio di un copertone, entrambe le bici gracchiavano come rane ad ogni cambiata con le catene che sembravano degli elastici da quanto si erano allungate. Prima di Castellania Giancarlo in una delle migliaia di buche trovate nel percorso ha forato entrambe le ruote in contemporanea, dopo la riparazione siamo ripartiti ma poco dopo il mio pedale si è sfilato mettendomi in condizione di assoluto disagio, sembrava il destino che non potessimo portare a termine la corsa. Una ricerca sfrenata di un pedale a Tortona, unico meccanico di biciclette in ferie, allora su consiglio di un benzinaio cercai un rivenditore di pezzi di ricambio di auto che teneva qualcosa anche di bici, pedale trovato, un bel pedale senza attacco che almeno mi dava il supporto al piede. Mancavano ancora centodieci chilometri e la stanchezza era insopportabile, il pedalare in maniera scomposta ha iniziato a procurarmi forti dolori alle ginocchia. Frequenti sono state le fermate nelle fontane e nei fossati per immergere le gambe dentro l’acqua fresca per sentire un po’ di beneficio gli arti, in una di queste fermate Giancarlo mi fece vedere le sue mani, caspita erano diventate come due zampogne, tutte tumefatte con neri segni evidenti di un ematoma profondo. I chilometri scendevano lentamente e il calore della giornata era insopportabile, avevamo pedalato tutti cinque i giorni sotto il sole cocente, mai una tregua. Ultimi chilometri, i più duri ma l’arrivo non arrivava più. Segnava le 15,53 di lunedì 22 agosto quando il pc dell’organizzazione registrava il nostro arrivo, alla fine i milleseicento chilometri li abbiamo terminati in centotrentotto ore e quarantasei minuti e finalmente abbiamo terminato questa massacrante corsa.
A mio parere e parere anche di molti partecipanti questa corsa non è da considerarsi una randonnèe semplicemente ma dovrebbe essere classificata come una extreme visto la tipologia del percorso fatto di continui sali e scendi che non danno mai respiro, le strade distrutte piene di buche percorribili meglio con delle MTB ammortizzate che con bici da corsa, il traffico opprimente che si trova in tratte anche molto lunghe dove i mezzi pesanti ti sfiorano in continuo, la mancanza di approvvigionamenti idrici per molti chilometri, la mancanza di nessun appoggio meccanico e soprattutto la mancanza di assistenza ai controlli dove per chi come noi arrivava in ritardo trovava tutto chiuso senza nemmeno la possibilità di trovare una fontana per rinfrescarsi o per bere. L’impressione che ho avuto è stata quella di vedere un grande godimento da parte degli organizzatori nel rendere questa manifestazione massacrante elogiando molto di più chi riusciva a fare il tempone da recordman, una gara più che una corsa, lasciando al proprio destino tutti gli altri che arrivavano dalle retrovie. Le domande a questo punto mi sorgono spontanee e sono tante.
Come hanno fatto i velocisti scarichi a fare milleseicento chilometri senza alcun inconveniente visto i tempi che hanno ottenuto? Dove andavano a caricare le batterie per seguire le tracce e per caricare i fanali? Come facevano correre forte in notturna senza prendere nessuna buca? Ma l’assistenza stradale a seguito non era vietata? Perché hanno pubblicato la classifica degli arrivi come nelle corse agonistiche partendo dal primo e non in ordine alfabetico o meglio evitando addirittura di pubblicarla? Perché dopo i controlli c'erano scie di bottigliette d'acqua vuote a terra? Gli ultimi senza avere alcun servizio perché hanno pagato la quota di iscrizione quanto i primi? Non avevamo diritto di avere lo stesso trattamento sebbene ultimi? Che pensiero si possono essere fatti tutti i ciclisti stranieri iscritti quando vedevano che i controlli erano chiusi e si sono poi ritirati? Perché non rendere veramente in “autonomia“queste corse in modo che i superman che partono superleggeri se ne restino a casa rendendo più umana la giostra? Non è la prerogativa dello spirito randonnèe “ne forte ne piano ma lontano”? Ma per questi organizzatori che fra l’altro sono i fondatori ARI cosa significa la parola Randonnèe? Ma queste persone qualche domanda se la pongono?
Ho l’impressione che qui si voglia emulare con questa 1001 miglia corse ben più importanti e meglio organizzate come la PBP che nata come gara ha mantenuto giustamente una forma di classifica e struttura corsaiola. Non voglio arrivare a pensare che questo carrozzone sia messo in piedi solo per business, per interessi che vanno a rifocillare le casse delle associazioni altrimenti sarebbe la fine. Sperando in un mio errore di valutazione di tutto questo cerco sempre gli aspetti positivi credendo nella buona fede delle persone, nella possibilità in futuro di vedere una migliore organizzazione, giusta e consona alle randonnèe in modo da fare crescere un mondo di randonneurs veri. La 1001 miglia potrebbe essere un bel trampolino di lancio per creare un circuito virtuale fra corsa e conoscenza dei posti, la nascita di una manifestazione dove solamente allungando il tempo di percorrenza i vari ciclisti possano godere delle bellezze che l’Italia sa offrire, la possibilità di scattare qualche foto, di degustare qualcosa di tipico, di alzare la testa per gioire di ogni angolo di questo nostro paradiso, non parlo di cicloturismo ma nemmeno essere costretti a testa bassa a macinare più di duecentocinquanta chilometri al giorno con oltre tremilatrecento metri di dislivello positivo per cinque giorni filati con temperature diurne che arrivano oltre i 40°
Un ringraziamento sincero devo farlo a Giancarlo per le foto che è riuscito a fare e passarmi (gallery) durante il percorso e spero di ritrovarlo nelle prossime randonnèe per correre insieme per le strade italiane e non solo. LEL arriviamooooooo.
Randonnée, divertirsi in bici con una diversa filosofia. In francese, randonnée significa passeggiata/escursione: si tratta quindi di prove senza classifica su distanze lunghissime, ma alla portata di tutti o “quasi”. In alcune viene cronometrato il tempo, ma solo per dare una gratificazione al ciclista che vuole sapere il tempo impiegato su un determinato percorso, ma non esiste mai un vincitore